martedì 10 giugno 2014

A MARGINE DEL NUOVO CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA

Da Luigi Turinese, medico e psicologo analista, riceviamo e pubblichiamo alcune note a margine del nuovo codice di deontologia medica.


Lo scorso 18 maggio, a Torino, è stata approvata la nuova edizione del codice deontologico dei medici.

Come spesso accade in questi casi, si sono subito levate voci di dissenso: da parte di specifiche categorie – come quella degli infermieri – oppure sotto forma di considerazioni da parte di voci critiche di liberi pensatori.

Tra queste ultime, occorre segnalare quella, sempre foriera di riflessioni costruttive, di Ivan Cavicchi – già direttore generale di Farmindustria – che sul portale www.quotidianosanita.it del 4 giugno scorso attacca il codice, definendolo "privo di quelle basilari garanzie di pertinenza che ne dovrebbero fare uno strumento […] di governo della realtà particolarmente problematica del medico".  Nei suoi molti imprescindibili scritti, Cavicchi lamenta da anni l'assenza di un "progetto di medico":  si vedano tra gli altri "Ripensare la Medicina" (Bollati Boringhieri, 2005) e "Una filosofia per la Medicina" (Dedalo, 2011).

 Dal canto suo Salvo Calì, presidente del Sindacato Medici Italiani (SMI), accusa il codice di non  affrontare
Ippocrate*
seriamente il grave problema del conflitto di interessi. Un esempio per tutti:  Amedeo Bianco è leader Fnomceo, dunque promotore del codice, ma anche senatore della Repubblica.

A uno sguardo sintetico e sorvolando su specificità come quelle cui ho fatto cenno, ciò che colpisce è il sapore di una proposta formalizzata sull'idealità. Allora, anche la celebre definizione di salute dell'Organizzazione Mondiale della Sanità OMS – "La salute è uno stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale e non solamente assenza di malattia" (1948) – aveva le stesse caratteristiche di proposta ideale, eppure la realtà dei fatti si incarica fin troppo spesso di dare a essa una secca smentita.

Ancora, all'articolo 5 del codice si legge: "Il medico promuove l'adozione di stili di vita salubri". Sarebbe bellissimo ma sappiamo che non è così: spesso il medico non ci crede davvero; e in non pochi casi, è il primo a non praticare simili stili di vita.

Che dire poi del controllo efficace del dolore (articolo 16), se non che rimane un obiettivo sovente disatteso per la mancanza, nel nostro Paese, di una cultura dell'analgesia e delle cure palliative.

Galeno*
Viene poi suggerita cautela nei confronti dell'abuso dei mezzi tecnologici. Ma questi non sono strumenti del demonio e vanno (o andrebbero) calati nella dimensione umanistica costituita da una solida alleanza terapeutica, che, a ben vedere, il codice caldeggia, accanto a un richiamo all'informazione e alla comunicazione.

Anche in questo caso, però, dobbiamo invocare i fatti, più che le parole: se non si costruisce una cultura della relazione terapeutica, al centro della quale porre la dimensione della medicina narrativa, esortazioni di questo genere rimarranno materia per una retorica del volemose bene.

Due articoli riguardano realtà emergenti: l'articolo 78 concerne la "medicina potenziante ed estetica"; mentre all'articolo 15 si fa un benemerito cenno (speriamo, in futuro, in qualcosa di più definito) a "prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali".



* Foto di Gianna Tarantino

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